ma se fosse successo ? Come sarebbe cambiata l'Italia ?

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    Uno dei tentativi più pericolosi di attacco alla democrazia in Italia avviene nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, durante la quale si avvia il golpe Borghese dal nome del suo ideatore Junio Valerio Borghese già comandante, durante la guerra civile, di uno dei corpi più violenti e sanguinari del fronte fascista: la Decima Mas.

    Nel 1968 Borghese aveva fondato il Fronte nazionale che si inserisce nello spazio dell’estrema destra con Ordine nuovo, Avanguardia nazionale ed Europa civiltà, tutti gruppi che, a un diverso grado, collaborano al golpe.

    Sin dall’estate del 1969, Borghese è attivo nel tessere legami con ufficiali delle Forze Armate e con una parte del mondo imprenditoriale del nord.


    Rispetto ad altri paventati colpi di Stato, questo tentativo di eversione è l’unico a entrare nella fase di attuazione mobilitando un alto numero di persone: almeno 300 uomini agiscono a Roma, ma i piani attuativi interessano l’area operaia milanese di Sesto San Giovanni, Venezia, Verona, Reggio Calabria e la Sicilia.

    L’azione eclatante dei congiurati avviene con la penetrazione in un centro nevralgico della Repubblica – il Viminale – nel quale, già dal pomeriggio, si sono insediati alcuni golpisti vestiti da operai. Alle 22,30 del 7 dicembre giungono davanti al ministero una cinquantina di persone di Avanguardia nazionale, accedono all’armeria e asportano i circa duecento mitra che vi sono custoditi. L’operazione è favorita da alcuni emissari interni al ministero, fra gli altri Salvatore Drago che è uomo di Avanguardia nazionale, ma al tempo stesso è legato al servizio segreto civile, è un tramite con la mafia – che assieme ad alcune ‘ndrine calabresi ha aderito al golpe – ed è un massone della loggia segreta P2, altrettanto attiva nel progetto eversivo. Le plurime appartenenze di Salvatore Drago sono lo specchio dell’articolazione nella quale si muove questo tentativo.


    In coincidenza con l’entrata al ministero dell’Interno, 197 uomini della Guardia forestale si dirigono verso la sede della Rai dove Borghese dovrà leggere alla nazione l’annuncio del colpo di Stato. Altri congiurati sorvegliano le abitazioni dei principali esponenti della sinistra e del capo della polizia Angelo Vicari – che la mafia avrebbe dovuto uccidere – mentre per il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat è previsto l’arresto.

    Nel suo programma Borghese medita di abolire partiti e sindacati insediando un parlamento su base corporativa. Gli Stati Uniti però non appoggiano il golpe.

    All’euforia dei congiurati per l’occupazione del Viminale fa da contrappunto la rabbia, trenta minuti dopo la mezzanotte dell’8 dicembre, quando Borghese impone di cessare le operazioni dicendo ai suoi uomini di avere ubbidito a un ordine superiore. Non è lui a capo della congiura. Tra il suo seguito si urla al tradimento. In una lettera del 1974 attribuibile a Borghese (pur con qualche residuo dubbio sulla sua autenticità), si dice che il contrordine all’operazione è stato impartito da Gilberto Bernabei, segretario di Giulio Andreotti e che lo stesso esponente democristiano era stato indicato dagli Stati Uniti come presidente della nuova giunta golpista. Tra i congiurati ci sono uomini vicini ad Andreotti, come Fabio De Felice (altra figura di collegamento tra destra estrema, servizi e P2) e Filippo De Jorio, quest’ultimo sarà avvocato degli eversori ma poi verrà rinviato a giudizio perché ritenuto implicato nell’operazione.


    E allora che cos’è stato il golpe Borghese? Un tentativo mai esistito, come lo definisce la Corte d’Appello di Roma nel 1984, che liquida il golpe a un “conciliabolo di quattro o cinque sessantenni” arrivando ad assolvere anche i reo confessi? Eppure le indagini hanno investito 144 persone con 78 imputati nel processo di primo grado.

    Tanta clemenza giunge dal desiderio di lasciare nell’ombra il livello superiore che si è mosso dietro al golpe. Il ruolo di Andreotti? Probabilmente ha lavorato più per far fallire il golpe anziché realizzarlo. In veste di ministro della Difesa, nel 1974, l’indagine da lui voluta giunge a scoprire i partecipanti, ma Andreotti ne renderà pubblici solo una parte, coprendo i personaggi più noti che continueranno a operare nell’ombra negli anni successivi. Fra questi l’ammiraglio Giovanni Torrisi che diviene capo di Stato Maggiore della Difesa nel 1980, carica che non avrebbe ricoperto se il suo nome fosse stato diffuso tra quello dei congiurati.

    In realtà il golpe Borghese avrebbe dovuto essere un golpe civetta, inducendo una reazione dei militari per fare scattare un golpe moderato, che mantenesse formalmente le vestigie democratiche. Su quel 7 dicembre cala il silenzio, al punto che i giornali ne daranno notizia, con parecchie omissioni, soltanto il 17 marzo 1971.



    L’inizio di questo periodo viene fatto coincidere, per convenzione, con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. In breve e in estrema sintesi, i gruppi di estrema destra – come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale – cercavano di diffondere il panico organizzando attentati terroristici che avevano come obiettivi luoghi molto affollati: stazioni, piazze, uffici. Il loro obiettivo era di far sentire tutti in pericolo, così da giustificare l’adozione dello stato di emergenza, l’introduzione di leggi speciali e in sostanza la fine della democrazia.




    Ma l’estrema destra non agiva come un blocco compatto, e infatti Borghese seguì un percorso diverso. Alla fine degli anni Sessanta cominciò a lavorare per costruirsi rapporti con i servizi segreti, con i militari e con l’ambasciata americana: voleva sondare le possibilità di un’eventuale svolta autoritaria in Italia senza passare per stragi e leggi speciali. Fino ad agosto del 1970 non sembravano esserci spiragli per i progetti golpisti di Borghese, ma poi qualcosa cambiò: una combinazione di fattori aumentarono la preoccupazione di alcuni ambienti militari italiani, notata anche dall’ambasciatore statunitense in Italia, Graham Martin, che la riferì al segretario di Stato William Rogers.

    Una parte dei vertici militari vedeva con insofferenza i tentativi della Democrazia Cristiana di formare un governo stabile – impresa che nell’estate 1970 sembrava essere ancora più difficile del solito – e temeva che in autunno ci sarebbe stata una seconda ondata di proteste e rivendicazioni sindacali come era successo l’anno prima, durante il cosiddetto “autunno caldo”. Borghese capì quindi che il momento era favorevole.

    Quale fu il ruolo degli Stati Uniti?
    Il governo dell’allora presidente Richard Nixon sapeva tutto delle attività di Borghese, ma questo non significa che ebbe un ruolo attivo nel tentativo di colpo di stato. Anzi, secondo alcuni storici fu vero il contrario: i documenti inviati dall’ambasciatore Martin a Washington, ormai desecretati, indicano che gli americani erano contrari ai progetti golpisti. Ritenevano, con buone ragioni, che avrebbe sortito effetti controproducenti, provocando un contraccolpo che avrebbe spostato a sinistra il sistema politico, cosa che gli Stati Uniti volevano evitare per impedire al PCI di arrivare al governo.

    Gli americani quindi non si opponevano al “golpe Borghese” per ragioni ideologiche o per difendere la tenuta democratica italiana, ma per una semplice questione politica e di opportunità. Martin era un convinto anticomunista, particolarmente attento agli equilibri di potere e poco interessato alla vita mondana, qualità che lo resero particolarmente adatto a tenere sotto osservazione la situazione italiana per conto del governo. Sulla base di cospicue informazioni che non aveva faticato a raccogliere, Martin pensava che il “golpe Borghese” avesse scarsissime probabilità di successo. Cospiratori e informatori lo contattarono con insistenza per cercare l’appoggio americano, ma lui rimase sempre scettico, perché se anche alcuni militari avessero dato il loro appoggio, c’erano parti troppo ampie dell’esercito regolare, della polizia e dei partiti politici che sarebbero insorte.




    Come ha scritto la storica Lucrezia Cominelli nel suo libro L’Italia sotto tutela, Martin divenne particolarmente esplicito riguardo alla sua contrarietà al piano quando uno degli informatori gli chiese rassicurazioni sulla guida americana dopo il colpo di stato, dato che a lui sarebbe spettato il ministero degli Esteri: «Questa affermazione mi ha definitivamente convinto che il golpe fallirà», scrive Martin. «Non sono mai stato tanto fortunato da trovare un ministro degli Esteri disposto a farsi guidare da me».

    Ciò che però emerge con chiarezza dalle lettere, è che una parte dei vertici e di alcuni settori militari erano inclini a non ritenere la democrazia un valore assoluto. In una lettera indirizzata al segretario di Stato Rogers, Martin scrive:

    Abbiamo stabilito una relazione di crescente intimità e fiducia con l’estabilishment militare italiano, che si è dimostrata molto fruttuosa nell’espandere sensibilmente la nostra copertura di intelligence. Ha anche permesso di stabilire una struttura per il loro uso quale ultima risorsa, nel caso una tale soluzione dovesse mai divenire necessaria.
    Può essere confortante registrare la mia conclusione che, se il presidente dovesse chiedermi una «soluzione» militare in Italia, sarei ragionevolmente certo di produrne una […].

    Quindi cosa andò storto?
    Su questo punto della storia si sono fatte tante ipotesi. Quella che circola di più è che il colpo di stato fallì perché il governo americano aveva imposto come condizione che Giulio Andreotti guidasse il governo nel nuovo regime, circostanza venuta meno la notte tra il 7 e l’8 non si sa bene per quale motivo, se per indisponibilità di Andreotti o per l’intervento di qualcuno dall’alto che fece la presunta telefonata.

    Non ci sono molte prove a supporto della tesi di un coinvolgimento di Andreotti, se non la testimonianza di Adriano Monti, un medico di Rieti che sostiene di aver fatto da tramite tra i golpisti e l’assistente di Kissinger, allora consigliere per la sicurezza nazionale statunitense. Peraltro questa versione non combacia con quella che emerge dalle lettere inviate e ricevute da Martin: perché il governo americano avrebbe dovuto da un lato ordinare al proprio ambasciatore in Italia di non dare l’appoggio ai golpisti e dall’altro dar loro la benedizione imponendo un candidato presidente?

    Una versione più plausibile l’ha data lo storico Giovanni Mario Ceci, che si è occupato a lungo di storia politica italiana e insegna all’Università di Roma Tre. Secondo Ceci a Borghese «mancò un supporto politico tale da permettere che il colpo di stato andasse a buon fine», supporto che doveva necessariamente arrivare da un pezzo della DC e che probabilmente non arrivò mai. La DC infatti era un ostacolo inaggirabile per chiunque volesse prendere il potere in Italia, e senza dubbio sapeva qualcosa dei preparativi per il colpo di stato: lo stesso Martin, una volta che ne venne a conoscenza nell’estate del 1970, suggerì al ministro della Difesa Mario Tanassi di «aggiornare le sue informazioni in merito al principe Borghese».



    Quale sia stato il motivo che spinse Borghese a fermare il suo colpo di stato è una delle domande che ancora rimangono aperte. Uscita la notizia nel 1971, il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone ordinò l’arresto di sei sospettati del tentato colpo di stato, compreso Borghese. Sulla vicenda indagarono in molti e ci fu un processo con sentenza definitiva emessa dalla Corte d’Assise di Roma nel 1984, che assolse quasi tutti gli imputati: i magistrati accolsero la tesi (sostenuta anche da alcuni storici) secondo cui il “golpe Borghese” fu sostanzialmente un «conciliabolo di quattro o cinque sessantenni». Junio Valerio Borghese non partecipò a nessuna delle udienze, perché poco prima che venisse ordinato il suo arresto fuggì in Spagna. Morì a Cadice il 26 agosto 1974.



    la sera di Piazza Fontana avevo 5 anni

    mio padre aveva la 600 ricordo vagamente che stavamo andando in via Cenisio a Milano da mio zio

    si sentivano le sirene , arrivati da mio zio non c'era l'allegria delle altre volte , mio padre e mio zio parlavano seriamente ed erano preoccupati ricordo


    il golpe ?

    a leggere Storia io penso che in quel periodo fine 60 inizio 70

    l'Italia era nel pieno del miracolo Industriale sostenuto dal piano Marshall ai tempi

    si voleva fare ma non si voleva fare , gli si fu dato modo di tentarlo ma alla fine bloccato e fatto saltare perchè non conveniva a nessuno


    41vEZ_iq6eL
     
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